top of page

Una stramba idea di come attutire l'impatto delle perdite da danneggiamento per le PMI...

Una stramba idea di come attutire l'impatto delle perdite da danneggiamento per le PMI, ma forse neanche più di tanto!

Gli effetti della crisi da Corona-virus sull’economia reale ed in particolare sulle PMI non si stanno facendo attendere, anzi il virus traccia le sue “proteine nocive” sui conti delle nostre imprese ed in particolare sulle nostre micro-aziende e PMI. Le soluzioni che finora sono state adottate dai due Decreti legge pubblicati (“D.L. n. 18/2020 c.c. “DL Cura Italia”, oramai divenuto Legge n. 27/2020 ed il D.L. n. 23/2020 in corso di conversione), per il momento, sembrano dei palliativi alle difficoltà delle PMI nazionali, rivelandosi sempre di meno una “cura” efficace alla crisi economica e finanziaria in atto.


Anche gli interventi previsti in materia civilistica e contabile introdotti in più riprese dai due decreti per far fronte alle perdite che si annunciano nei bilanci 2020 delle imprese (art. 107 D.L. n. 18/2020 ed artt. 6 e 7 D.L. n. 23/2020), appaiono più una “presa d’atto e d’ufficio” da parte del legislatore su ciò che sarà esposto nel Conto Economico, che un’efficace risposta alle effettive esigenze di informativa ed esatta rappresentazione dei documenti contabili dei soggetti interessati. Questi, infatti, seppure dovessero risolvere le esigenze di capitale circolante accedendo ai finanziamenti a sostegno della liquidità aziendale previsti dai citati decreti legge, certamente non potranno agevolmente mostrare i loro bilanci agli altri stakeholders, con tutte le conseguenze che ne possono derivare in termini di reputazione e di affidabilità aziendale complessiva. Deve premettersi che, secondo la Suprema Corte, “….il bilancio di esercizio di una società obbligata alla sua redazione, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, comma 2, c.c., è illecito, sicché la deliberazione assembleare con cui esso è stato approvato è nulla, sia se la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, nonché in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati, ivi compresa la relazione, non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte” (Cass. SS.UU., n. 27 del 21/02/2000; Cass. 8204/2004; 4874/2006; Cass. N. 4120 del 2/3/2016). Le norme del Codice civile che disciplinano la redazione del bilancio delle società di capitali sono contenute negli articoli dal 2423 al 2435-ter del Codice civile. L’attuale disciplina è stata modificata con il recepimento della Direttiva europea n. 34 nel D.Lgs. 139/2015. Come è noto, dal punto di vista tecnico, i principi di redazione del bilancio, richiamati nel diritto positivo dalle norme del Codice civile, vengono regolamentati in modo dettagliato dai Principi Contabili emanati dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC 11). Il citato articolo 2423 c.c., con il 1° comma prescrive i principi di chiarezza, veridicità e correttezza della situazione patrimoniale della società e il risultato economico dell’esercizio. Il terzo comma dell’art. 2423 c.c. precisa che, qualora le informazioni richieste dalle norme non fossero sufficienti a fornire la rappresentazione veritiera e corretta, il bilancio deve contenere le opportune rettifiche e integrazioni. Il comma 4 prevede che non occorre rispettare gli obblighi di rilevazione, valutazione, presentazione e informativa quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare una rappresentazione veritiera e corretta. Rimangono fermi gli obblighi in tema di regolare tenuta delle scritture contabili. Le società illustrano nella nota integrativa i criteri con i quali hanno dato attuazione alla presente disposizione. Ai sensi del successivo comma 5, in casi eccezionali, se l’applicazione di una disposizione in materia di bilancio prevista dal codice civile è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, tale disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. In particolare, la nota integrativa illustra la natura della deroga, la ragione per cui il trattamento previsto dalla norma, nel caso di specie, sarebbe fuorviante rispetto alla rappresentazione veritiera e corretta, nonché per ogni esercizio presentato gli effetti su stato patrimoniale e conto economico della deroga su ogni voce del bilancio. E’ da osservare che, nel caso di aree non ancora regolamentate dall’OIC, o in caso di dubbi, è opportuno fare riferimento ai Principi Contabili Internazionali emanati dallo IASB (International Accounting Standard Board). Le “Piccole imprese” possono adottare gli schemi di Stato Patrimoniale e Conto Economico semplificati mediante l’accorpamento di alcune specifiche voci. Esse sono inoltre esonerate dall’obbligo di redazione del Rendiconto finanziario e della Relazione sulla gestione e obbligate comunque a redigere la Nota integrativa. Al riguardo, anche la normativa tributaria prescrive per le piccole e medie imprese l’adozione della contabilità ordinaria (art. 13 DPR n. 600/1973) o della contabilità semplificata (art. 18 DPR n. 600/1973), quale elemento necessario al corretto calcolo del reddito imponibile e dell’esposizione della composizione del patrimonio, dovendosi preoccupare di esporre il proprio quadro economico e finanziario nonché del risultato d’esercizio, presupponendo che il bilancio d’esercizio da solo non sia in grado di esprimere una valutazione delle performance aziendali. Da un punto di vista economico, è noto che la manifestazione numeraria o finanziaria di un costo (uscita) e di un ricavo (entrata) non ha alcun rilievo, in quanto questi componenti sono rappresentati nel Conto economico per il loro intero ammontare, secondo il noto principio di competenza 2423- bis c.c. e delle disposizioni fiscali generali di cui all’art. 109 TUIR, a prescindere dall’incremento o dalla diminuzione di liquidità che producono. Il bilancio d’esercizio redatto in termini di competenza, tuttavia, per quanto possa essere accompagnato da una serie di indicatori volti a rappresentare ad esempio il più corretto risultato dell’esercizio e cioè la produzione di un utile o di una perdita, per definizione, non rappresenta da solo il patrimonio tangibile, la solidità del capitale ed altri indici per la valutazione dell’andamento d’impresa. Il documento contabile, pertanto, non è assolutamente scevro da elementi di valutazione discrezionali rimessi alla capacità interpretativa dei fenomeni gestionali da parte del suo compilatore, soprattutto, per quanto attiene alle scritture di completamento e di assestamento dei conti aziendali. Il reddito, infatti, è una grandezza in parte “opinabile”, nel senso che riflette una serie di determinazioni soggettive effettuate dai redattori in relazione alla valorizzazione di molte poste del Conto Economico. Questo avviene ad esempio per le rimanenze di magazzino, i costi ed i ricavi da sospendere, gli accantonamenti, gli ammortamenti, etc., la cui valutazione è delegata ad un giudizio che, per quanto ispirato al principio di rappresentazione veritiera e corretta, è comunque frutto di stime che condizionano la consistenza del risultato economico. Partendo da questo assunto ed in un momento di estrema difficoltà per le PMI nazionali, si potrebbe immaginare di “autorizzarle” a derogare alle più stringenti disposizioni di cui al 1° comma dell’art. 2423-bis, in materia di competenza economica dei costi e dei ricavi, consentendo ai compilatori del bilancio 2020 di “sospendere” i costi che non troverebbero diretta correlazione con i ricavi e ciò ai fini di una più pratica ed ermeneutica applicazione della citata normativa. Diverse sono le disposizioni civilistiche e di prassi contabile che ne giustificherebbero la modifica contabile, potendo trattare i costi di questo periodo da COVID-19, seppure dalla genesi di “costi diretti o indiretti della produzione”, al pari ad es. di un risconto o, ancora meglio, alla stregua di “costi capitalizzabili”, come ad es. gli oneri che per loro natura hanno un loro riverbero in più di un esercizio, mostrandosi nel Conto Economico soltanto per la corrispondente quota di ammortamento, come quei costi per la realizzazione di un progetto con durata pluriennale e che in questo caso sarebbero dovuti ad un evento emergenziale. Quali costi potrebbero essere considerati capitalizzabili I costi relativi al periodo Covid-19 che potrebbero risultare capitalizzabili sono: – i costi direttamente attribuibili alla perdita da danneggiamento da Covid-19 e strettamente limitata ad un periodo da identificare con disposizione normativa ad hoc, quali: costi per i materiali e servizi adottati ed i costi di manodopera diretta; – gli oneri finanziari, qualora siano soddisfatti i requisiti e sia stato deciso di fare uso del trattamento contabile alternativo. La capitalizzazione di questi costi, dovendo intervenire per disposizione di legge, dovrebbe essere monitorata ed autorizzata dall’organo di controllo, laddove esistente. Questo trattamento contabile, innanzitutto, troverebbe una sua opportunità proprio nel richiamato art. 2423 c.c. che, ai commi 3, 4 e 5, consente di derogare alle più stringenti disposizioni civilistiche in materia di redazione del bilancio dell’esercizio al verificarsi di determinate circostanze che non permettano di rappresentare in maniera veritiera e corretta la situazione patrimoniale ed il risultato economico dell’esercizio, senza che ciò contravvenga a tutelare i destinatari primari dell’informazione del bilancio, rappresentati da coloro che forniscono risorse finanziarie all’impresa, come i soci, gli investitori, i finanziatori e gli altri creditori. Questi, sarebbero a conoscenza, sin da subito dell’esistenza nel bilancio dell’avvenuta deroga nella contabilizzazione dei costi derivanti dalle perdite da Covid-19, che verrebbero “isolate” per tenere i restanti accadimenti delle gestioni successive immuni da esse. Attraverso, quindi, un intervento normativo ad hoc, si andrebbero ad indicare tra le immobilizzazioni immateriali quali “Oneri pluriennali da Covid-19”. In un certo senso la soluzione proposta, costituirebbe una misura di performance più genuina rispetto ad un reddito 2020, contenente tutti i costi dell’esercizio per competenza economica, in quanto: – non potendo trovare, in tutto o in parte, la loro immediata correlazione con i ricavi ad essi corrispondenti, attesa la difficoltà che ci sarebbe nel conseguire i riferiti ricavi in un periodo di incertezza come quello cui si sta assistendo, risulterebbero paradossalmente meno inquinati da decisioni inerenti al trattamento contabile di alcune poste di bilancio che diversamente potrebbero sottostare; – misurerebbero in modo più puntuale l’effettiva evoluzione delle dinamiche gestionali. L’intervento proposto si collocherebbe nella già evidente sensibilità che il legislatore del “Decreto Liquidità” ha mostrato di avere nei confronti di quella moltitudine di PMI che, nel contesto della immediata crisi da Corona-virus si troverebbero a dover riportare perdite consistenti e che ha inteso “attenuare” con le citate disposizioni di cui agli artt. 6 e 7 del citato decreto. Tuttavia circoscrivere l’intervento normativo alla sola mancata necessità di adottare i provvedimenti ex artt. 2447 e 2482- ter del c.c., al verificarsi delle perdite in corso d’anno o in chiusura dell’esercizio 2020, potrebbero apparire, in ogni caso, non sufficienti e finirebbero con l’impattare ancora pesantemente sul conto economico e sulla correlata posizione finanziaria. Questo è dovuto, non solo all’evidente effetto che avrebbe lo spesare a Conto Economico i costi da danneggiamento da Covid-19, ma anche e soprattutto ai ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali che, saranno lungi dall’essere onorate nei 30 giorni come previsto dalla Direttiva 2011/7/UE e nemmeno mediamente nei 3/4 mesi di cui alla prassi creatasi tra gli operatori economici ante-Covid-19, creando una forte discrasia nel ciclo incassi/pagamenti. Presumibilmente il ritardo che si potrebbe avere, per effetto del Covid-19 period, nell’incasso delle fatture relative all’attività caratteristica, comporterà, senza un tempo facilmente oggi definibile, l’ampliamento della forbice del ciclo monetario che va dal pagamento al fornitore della materia prima all’incasso del corrispettivo da parte del cliente dopo che questa è stata trasformata e immessa nel ciclo produttivo. Un’impresa sottocapitalizzata, com’è molto frequente nelle attività di medio piccole dimensioni, in questo contesto di cronico ritardo nelle transazioni commerciali, dovrà finanziare un “ciclo monetario” della gestione di maggior ampiezza ricorrendo largamente al credito bancario che, stante la modesta capitalizzazione, verrebbe accordato sostanzialmente sulle garanzie prestate dal Fondo di Garanzia per le PMI, come previsto dai due decreti emergenziali emanati. Proprio l’ampiezza del predetto ciclo monetario, inteso come periodo di tempo mediamente intercorrente fra l’uscita monetaria collegata all’acquisto dei fattori produttivi e l’entrata monetaria originata dalle vendite di beni e dei servizi aziendali comporta l’esigenza, largamente sentita, di un superamento del principio della competenza in funzione di quello di “cassa” che, come già visto in occasione della crisi finanziaria degli anni passati, meglio rappresenta le problematiche connesse alla conduzione delle piccole aziende, potendo contare, nel breve termine, e si spera, sulla ripartizione in almeno 72 mesi (auspicabile in un prossimo intervento che si ampli a 10 anni) dei finanziamenti ottenuti per far fronte alle sopravvenute esigenze di liquidità ex art. 3 e 13 del D.L. n. 23/2020. Ciò porta a concludere che non sarebbe peregrino correlare, con il sistema degli ammortamenti, gli oneri (o perdite) da danneggiamento da Covid-19, per il solo anno 2020, almeno in rapporto al piano di rimborso del finanziamento e che, come riferito, si sostanzierebbe nel maggior termine di 72 mesi, stante le attuali disposizioni normative. In sostanza neanche il Fisco verrebbe danneggiato da questa scelta perché il carico tributario verrebbe onorato per quella che sarebbe la parte effettivamente da tassare, ma soltanto nel momento in cui i componenti positivi e negativi da cui scaturisce l’imponibile, entrambi avrebbero la loro manifestazione economica, con l’esigenza di far recuperare normativamente anche la parte fiscale delle perdite che non verrebbero immediatamente riportate nel Mod. Unico dell’impresa. L’altro risultato ottenibile sarebbe l’attenuazione dell’impatto della perdita sul Conto Economico per le PMI nazionali, con l’evidente risultato di non dover procedere per queste ultime ad una immediata e pronta ricapitalizzazione, nel caso in cui non dovessero ottenere gli auspicati finanziamenti e, nei casi, più estremi, ritrovarsi nelle denegate ipotesi di scioglimento anticipato della società, per sopravvenuta e manifesta impossibilità di continuare l’attività aziendale (per mancanza di going concern). In un contesto, poi, di post-crisi le PMI, dove almeno ci si augura che non subiscano ancora pesantemente il ritardo nei pagamenti derivanti dalle transazioni commerciali, potrebbero più facilmente colmare la distanza fra il risultato economico determinato secondo corretti principi contabili e il correlato flusso di cassa generato/assorbito dalla gestione reddituale, in modo da assorbire nel maggior tempo stabilito in 72 mesi la perdita da Covid-19 “capitalizzata” nel corso dell’esercizio 2020. Per fare ciò è auspicabile l’introduzione di una nuova disposizione legislativa che intervenga, come già avvenuto con i due decreti emergenziali, sul regime contabile per competenza, al fine di disporre di un bilancio 2020 più aderente alla struttura delle PMI nazionali, dovendo, altresì, competere anche a livello internazionale. Giancarlo Senese, Studio Senese Dottori Commercialisti

200 visualizzazioni0 commenti
bottom of page